FENIS (AO): Castello – Scheda 1 – Cortile – Affreschi della scuola di Giacomo Jaquerio.

Il Castello di Fénis, situato nell’omonimo comune, è uno dei più famosi manieri medievali della Valle d’Aosta. Noto per la sua scenografica architettura, con la doppia cinta muraria merlata che racchiude l’edificio centrale e le numerose torri, il castello è una delle maggiori attrazioni turistiche della Valle.
Diversamente da altri manieri della regione, quali Verrès e Ussel, costruiti in cima a promontori rocciosi per essere meglio difendibili, il castello di Fénis si trova in un punto del tutto privo di difese naturali. Questo porta a pensare che la sua funzione fosse soprattutto di prestigiosa sede amministrativa della famiglia Challant-Fénis e che anche la doppia cinta muraria servisse soprattutto in funzione ostentativa, per intimidire e stupire la popolazione.

Descrizione:

Il mastio è racchiuso in una doppia cinta di mura con torrette di guardia collegate da un camminamento di ronda. Si accede al maniero passando attraverso una torre quadrata.
Il cortile interno, con lo scalone semicircolare e le balconate in legno, è decorato di affreschi attribuiti a Giacomo Jaquerio e al suo atelier, ma allo stato attuale è difficile stabilire con certezza se il maestro torinese sia effettivamente intervenuto a Fénis, anche se studi più recenti tendono a escludere una sua attività diretta o se l’esecuzione del ciclo si debba a un atelier strettamente legato ai modelli jaqueriani.
Centro del corpo abitativo centrale è il piccolo cortile di forma quadrangolare realizzato da Bonifacio I tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Al centro del cortile si trova un caratteristico scalone semicircolare in pietra, sulla cui sommità svetta un affresco raffigurante San Giorgio che uccide il drago, realizzato intorno al 1415 e attribuito alla bottega di Giacomo Jaquerio. Il tema di San Giorgio e il drago era molto diffuso al tempo in Valle d’Aosta, in quanto era considerato un’incarnazione dell’ideale cavalleresco. Sull’affresco si può notare il monogramma BMS, interpretato come le iniziali del committente, Bonifacium Marexallus Sabaudiae.
Il cortile, le cui pareti sono interamente affrescate da decorazioni in stile gotico internazionale, è circondato su tre lati da una doppia balconata in legno in corrispondenza dei due piani superiori. Lungo le pareti della balconata si snoda una serie di saggi, uno diverso dall’altro, che reggono pergamene riportanti proverbi e massime morali scritte in francese antico. Un tempo in corrispondenza di ognuno dei saggi era indicato il nome del personaggio raffigurato, ma la maggior parte di essi sono ormai illeggibili, tra questi saggi è raffigurato anche un personaggio in costume arabo, probabilmente per ricordare la partecipazione di Challant ad una crociata.
La parete più stretta del cortile, di fronte all’affresco di San Giorgio, fu decorata intorno al 1434 dal pittore Giacomino da Ivrea (attivo dal 1426 al 1469) su incarico di Bonifacio II di Challant, figlio di Bonifacio I, e raffigura i santi Uberto, Bernardo, un santo vescovo, Santa Apollonia e Sant’Ambrogio, un’Annunciazione e motivi vegetali.
Sotto di essi si trova un monumentale San Cristoforo, la cui attribuzione è resa difficile dai pesanti restauri subiti.
Durante il feudo di Bonifacio I il castello raggiunse il suo massimo splendore e a lui si devono anche gli affreschi del cortile interno e della cappella, commissionati al pittore piemontese – o alla sua scuola – Giacomo Jaquerio, maestro del gotico internazionale, e realizzati presumibilmente tra il 1414 e il 1420. L’incertezza sull’attribuzione si unisce a quella sulla datazione. I critici hanno notato alcuni errori e limitazioni negli affreschi della cappella e cortile interno. Ciò fa supporre che vi sia stata una certa “fretta” nella realizzazione di tali opere.
Con la morte di Bonifacio I nel 1426 iniziò una fase di declino economico per la famiglia Challant-Fénis. Il successore Bonifacio II commissionò al pittore Giacomino da Ivrea gli affreschi del lato orientale del cortile, ma non modificò la struttura del castello. Dopo di lui, per circa duecentocinquant’anni gli unici interventi riguardarono alcuni affreschi nel cortile e in uno dei locali a sud, realizzati nel XVII secolo.
Nel 1705, il castello passò al ramo dei Challant Châtillon che nel 1716 lo dovette vendere al conte Baldassarre Saluzzo di Paesana. Seguì un periodo di abbandono  e di  passaggi di proprietà, durante il quale il maniero fu trasformato in abitazione rurale: le sale del pianterreno erano adibite a stalle, mentre il primo piano serviva da fienile. Fu acquistato nel 1895 dallo Stato Italiano, per tramite di Alfredo d‘Andrade, che iniziò nel 1898 una campagna di restauri continuata fino al 1920 sotto la supervisione in seguito di Bertea e di Seglie. Scopo di questa campagna, anche a causa dei pochi fondi disponibili, fu soprattutto arrestare il degrado del castello, mettendo in sicurezza i muri pericolanti, rifacendo alcuni tetti, restaurando i solai e i serramenti e costruendo a est una nuova strada di accesso al castello.
Una seconda campagna di restauri ebbe luogo a partire dal 1935, a cura dell’allora Ministro dell’Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi e dell’architetto Vittorio Mesturino, che vollero accentuare l’aspetto medievale del castello, compromettendo in parte la leggibilità della struttura originaria. Durante questa campagna di lavori  venne ricostruita quasi interamente la prima cinta muraria e spostato l’ingresso principale, che un tempo era situato ad ovest. Si decise di allestire nel castello un museo dell’ammobiliamento valdostano, riarredando le stanze ormai prive del mobilio originale con una serie di mobili reperiti sul mercato dell’antiquariato, benché non tutti realmente di origine valdostana. Il castello, dichiarato monumento nazionale nel 1896 e ora proprietà dell’amministrazione regionale della Valle d’Aosta, che lo ha destinato a sede del museo del mobile valdostano.

Cronologia: XV sec.

Note storiche:

Il nucleo iniziale del castello era presumibilmente costituito da una torre quadrangolare (ora situata a fianco dell’ingresso principale) e dalle mura di cinta. Osservando le attuali mura è possibile scorgere la successiva ripresa muraria.
Secondo alcuni, anche la torre semicircolare situata sull’altro lato dell’ingresso principale appartiene alla costruzione iniziale.
Il castello viene menzionato apertamente per la prima volta in un documento del 1242, nel quale un castrum Fenitii è indicato come proprietà del visconte di Aosta Gotofredo di Challant e dei suoi fratelli. A quel tempo il maniero probabilmente comprendeva solo la torre colombaia sul lato sud e la torre quadrata, un corpo abitativo centrale e una singola cinta muraria.
La maggior parte dei lavori di costruzione, che hanno portato il castello ad assumere l’aspetto attuale, ebbero luogo tra il 1320 e il 1420 circa.
Aimone di Challant ereditò il feudo e il castello di Fénis dal nonno Ebalo Magno nel 1337 e nel 1340 diede inizio a una prima campagna di lavori, realizzando un corpo abitativo centrale di forma pentagonale – ottenuto probabilmente inglobando edifici preesistenti – e la cinta muraria esterna.
Rispetto all’aspetto attuale, ai tempi di Aimone mancava ancora la torre meridionale e l’interno del castello era molto diverso.
Il cortile centrale era molto più ampio e privo dello scalone in pietra, fiancheggiato a nord e a sud da due lunghi corpi di fabbrica che terminavano contro il muro occidentale.
Doveva inoltre mancare completamente il secondo piano dell’edificio.
Nuovi lavori di costruzione furono voluti da Bonifacio I di Challant, figlio di Aimone, che ereditò il castello dal padre nel 1387. Dopo aver ricoperto per due anni la carica di ispettore delle fortificazioni alla corte dei Savoia, nel 1392 Bonifacio diede inizio a una nuova grande campagna di costruzioni nel maniero, in modo da adattarlo ai nuovi standard della vita cortese. Durante questa campagna edilizia furono riallineati i piani del corpo centrale e venne costruito un nuovo piano ricavandolo dal sottotetto. Fu inoltre costruito un nuovo corpo di fabbrica a ovest, facendo assumere al cortile interno l’aspetto attuale, con due piani di ballatoi in legno e il grande scalone in pietra semicircolare.
Durante il feudo di Bonifacio I il castello raggiunse il suo massimo splendore e a lui si devono anche gli affreschi del cortile interno e della cappella, commissionati al pittore piemontese Giacomo Jaquerio, maestro del gotico internazionale, e realizzati tra il 1414 e il 1430.
Con la morte di Bonifacio I nel 1426 iniziò una fase di declino economico per la famiglia Challant-Fénis, a cui corrispose un periodo di stasi edilizia per il castello.
Il successore Bonifacio II si limitò a commissionare al pittore Giacomino da Ivrea gli affreschi del lato orientale del cortile, non apportando nessuna modifica significativa alla struttura del maniero.
Dopo di lui, per circa duecentocinquant’anni non furono praticamente realizzate nuove costruzioni e gli unici interventi riguardarono alcuni affreschi nel cortile e in uno dei locali a sud, realizzati nel XVII secolo.
Nel 1705, con la morte di Antonio Gaspare Felice, ultimo esponente del ramo Challant-Fénis, il castello passò al cugino Giorgio Francesco di Challant Châtillon, il quale nel 1716 dovette venderlo per 90 000 lire al conte Baldassarre Saluzzo di Paesana per fare fronte agli ingenti debiti.
Iniziò quindi per il castello un periodo di vera decadenza e di successivi passaggi di proprietà. Esso rimase di proprietà dei Saluzzo di Paesana fino al 1798, quando venne venduto a Pietro Gaspare Ansermin, la cui famiglia lo conservò fino al 1863 per poi rivenderlo a Michele Baldassarre Rosset di Quart.
Nel frattempo l’edificio era stato abbandonato, spogliato del mobilio e utilizzato come casa colonica, fienile e ricovero per animali.

Bibliografia:

– Barberi S., Il castello di Fènis, Direzione della provincia dei patrimoni culturali della Valle, Musumeci, Aosta 2007.
– Barberi, S., Castello di Fénis : catalogo degli arredi, Aosta : Editrice Tipografica Valdostana, Aosta 2003
– Bellosi L., Come un prato fiorito: studi sull’arte tardogotica, Jaka Book, Milano 2000
– Orlandoni B.; Prola D., Il castello di Fenis, Musumeci, Aosta 1982;
– Zanzotto A., Chateau de Fenis, Musumeci, Aosta 1995.

Url: http://www.comune.fenis.ao.it/

Note:

Immagini dal sito del Comune di Fenis e da http://www.geometriefluide.com/

Fruibilità:
Dal 1° aprile al 30 settembre aperto dalle 9.00 alle 19.00. Ingresso accompagnato.

Rilevatore: Angela Crosta, G.A. Torinese

Data ultima verifica sul campo: 2013-04-15T

MARENTINO (TO): Chiesa cimiteriale di Santa Maria “dei morti” con opere di G. Fantini (influsso jaqueriano).

La chiesa è situata all’interno del cimitero di Marentino dove si arriva da Torino con la statale 10 per Chieri, quindi per Andezeno, dove si devia a nord per Marentino/Sciolze.

Descrizione:

Costruita nel XII secolo, già chiesa plebana di Marentino, posta all’interno del nucleo abitato, quando la popolazione si spostò verso l’attuale centro storico del paese, probabilmente in seguito alla costruzione di un ricetto, subì la sorte di altre pievi (Buttigliera, Pecetto, Andezeno): perse via via di importanza, assumendo poi la funzione di cappella cimiteriale.

Tipologia immagine: Affresco

Note storiche:
Un intervento di restauro risalente al secondo dopoguerra ha cancellato tutte le sovrastrutture barocche, conservando di queste solo le volte interne in sostituzione del tetto originario con orditura a vista. Attualmente il soffitto è ligneo.
La chiesa si presenta oggi qual era nel XII secolo quando fu costruita o al massimo nel XV quando fu affrescata.
Presenta nell’abside affreschi opera del pittore chierese Guglielmetto Fantini (attivo sicuramente dal 1435 al 1450, autore del ciclo del battistero di Chieri e di parte della decorazione della chiesa di San Sebastiano a Pecetto) e altri di un ignoto pittore di qualità inferiore. Entrambi mostrano influssi jaqueriani.
Il breve ciclo del Fantini è accompagnato da una iscrizione, solo parzialmente leggibile, da cui risultano la data dell’ottobre 1450 e il nome del committente “presbiter Martinus de Panicis de Corteliano” (Bertello-Fioretti, 1977, con trascrizione imprecisa della scritta).
Il Fantini aveva assunto un ruolo di protagonista nella pittura del Piemonte occidentale, quando ancora era vivo Giacomo Jaquerio, da cui ereditò gli aspetti caricati e teatrali della fase più tarda (Jaquerio è documentato a Chieri nel 1428). Il riferimento jaqueriano non è però unico nella formazione del Fantini e più di uno studioso ha sottolineato alcuni caratteri, soprattutto di cupa gamma cromatica, di insistito chiaroscuro e di ornato prezioso (per le parti messe a oro) che richiamano la contemporanea pittura della costa tirrenica (da Napoli a Pisa, a Genova, a Barcellona).
La Chiesa di Santa Maria dei Morti, monumento nazionale, è stata oggetto di tre diversi interventi di restauro nel decennio, l’ultimo e più importante di questi si è concluso nel 2011 ed ha visto riaffiorare la bellezza originaria della Chiesa sia al suo interno che al suo esterno; in particolare il recente restauro degli affreschi ha eliminato i rifacimenti attuati negli anni ’50 del secolo scorso.

L’edificio è a pianta rettangolare di modeste dimensioni (internamente dodici metri per sei) chiusa da un’abside semicircolare. La struttura muraria presenta mattoni alternati con conci di arenaria senza una trama precisa. La facciata con il tetto a doppio spiovente, segnato da una cornice di archetti intrecciati, è caratterizzata da un corpo centrale avanzato coperto da un tettuccio che, sotto un arco a tutto sesto in conci di arenaria alternati con gruppi di tre mattoni, racchiude il portale sormontato da una lunetta. Tra l’arco e la lunetta un anello in arenaria poggia su due capitelli. Gli elementi in arenaria mostrano tracce di una decorazione con un motivo ad intreccio. Frammenti di decorazioni sono conservati all’interno sul muro di controfacciata. L’abside presenta tre feritoie e quattro colonnine con capitello. Sul fianco destro e sull’abside labili tracce di piccole sculture antropomorfe.
L’interno si presenta spoglio con muratura a vista. Sulla parete destra una lunetta con decorazioni di arenaria dell’ingresso ora tamponato.
Gli affreschi presentano, nel cilindro absidale, lacunoso nella parte inferiore, figure di Santi: da sinistra san Cristoforo che regge il Bambino sulle spalle; un santo pellegrino con bastone e conchiglia sul cappello, probabilmente san Giacomo; una scritta sotto la monofora e san Sebastiano trafitto dalle frecce; al centro una Madonna del latte racchiusa da una cornice. Seguono sulla destra altri tre santi, solo quello centrale è identificato da una scritta: san Valeriano.
Il catino absidale, racchiuso da una ricca cornice geometrica, reca una Pietà o Compianto sul Cristo morto, con una Madonna che regge in grembo il corpo del Figlio. A sinistra santo Stefano e, a destra, santa Lucia su uno sfondo a elementi decorativi geometrici; ai lati rocce nude e in alto una croce che sfrutta la concavità della volta. Si crea così una scenografia di effetto.
La critica ritiene opera del Fantini la Pietà, i due Santi a sinsitra e a destra san Valeriano. Invece, per la minore qualità pittorica sono opera di un altro artista la Madonna del latte e i due santi a destra.

Bibliografia:

 – VANETTI G., 1984, Chieri ed il suo territorio, Edizioni Corriere, 1995;
Le chiese romaniche delle campagne astigiane, a cura di Liliana Pittarello, Asti, pp. 38-41;
– ROMANO G., 1988, Momenti del Quattrocento chierese, in DI MACCO M.;ROMANO G., Arte del Quattrocento a Chieri.

Email: http://www.comune.marentino.to.it

Note: Vedi anche su www.archeocarta.it, alla pagina vai >>>

Fruibilità:
L’esterno è visibile negli orari di apertura del cimitero.
Per l’interno informazioni presso comune di Marentino (Tel.: 0119435000) o Parrocchia 0119435244

Rilevatore: Angela Crosta, Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

Data ultima verifica sul campo: 2013-04-14

Allegato: guglielmo-fantini-–treccani.pdf

PIANEZZA (TO): Cappella della Madonna della Stella.

Localizzazione e recapiti:

Sorge a poco più di mezzo chilometro dal vecchio Borgo di Pianezza, in via Via Ducale, in posizione poco più elevata sul piano circostante.
Fino a pochi decenni fa era in piena campagna, ben visibile a distanza, ora è circondata da edifici.
Da via Susa, svoltare a destra in via Madonna della Stella.

Descrizione:
All’estero, sul lato destro, rimangono archetti sotto il tetto in corrispondenza del presbiterio e denotano traccia della costruzione più antica.
Un grande affresco raffigura san Cristoforo che porta sulle spalle Gesù Bambino che regge in mano una sfera che rappresenta il mondo e su cui è dipinto un paesaggio marino.
A lato, verso l’ingresso, la figura di un altro santo protettore: sant’Antonio Abate.
Gli AFFRESCHI all’interno della cappella sono di autori ignoti e di scuola non più completamente gotica: i fondi neutri sono ravvivati da paesaggi. Le pitture sono tutte nella parte più antica dell’edificio, il presbiterio, ad eccezione della figura di san Lorenzo sulla parete destra, datato 1480.
Le scene rappresentano episodi della vita della Vergine. Sull’arco trionfale l‘Annunciazione; nel sottarco 10 busti di profeti, ma essendo i cartigli illeggibili, non identificabili, tranne Esra.
La parete sinistra del presbiterio è divisa in quattro scene da una decorazione, purtroppo mutilata nella parte inferiore dalla apertura di una porta. Rappresenta l’annuncio dell’angelo a san Gioacchino, l’incontro tra sant’Anna e san Gioacchino; in basso la nascita della Vergine con sant’Anna in un letto dipinto con precisi particolari, manca il resto della scena con la neonata, a destra Maria che viene condotta al Tempio.
La parete dell’altare fu ridipinta con un un decoro a graticcio di gusto barocco, coprendo gli affreschi antichi, forse la nascita di Gesù.
Sulla parete destra, in quattro scene, l’episodio di Gesù con i dottori nel tempio. In alto a sinistra Maria, Giuseppe e Gesù che vanno a Gerusalemme con un asino e il Bambino è raffigurato sullo spigolo, solo con una gamba. Curiosamente nello strombo della finestra è dipinto Gesù come un ragazzino che attraversa un ponticello, solo nella campagna. A destra vi sono solo i due genitori e l’asino. In basso Maria e Giuseppe cercano il figlio tra architetture elaborate che rappresentano la città; a destra Maria e Giuseppe trovano Gesù che sta discutendo con i dottori nel Tempio.
Le quattro vele della volta raffigurano ciascuna due episodi della vita di Maria, tratte dai Vangeli apocrifi. Di fronte all’altare, sopra lo stemma dei Provana, un scena probabilmente simbolica: Gesù, con al seguito gli Apostoli, annuncia a Maria che è la Mater ecclesiae, un angelo annuncia a Maria che è in procinto di morire; a sinistra Maria riunisce gli Apostoli per comunicare la notizia; Maria morta distesa su un letto; nella vela sopra l’altare il catafalco di Maria e a destra mentre lo stanno ponendo nel sepolcro: un soldato vorrebbe rovesciarlo, ma gli si seccano le mani; nella vela a destra l’apostolo Tommaso vede l’assunzione di Maria e Le dice che nessuno gli crederà, allora la Vergine gli consegna come prova la sua cintura, a destra gli altri apostoli guardano il sepolcro vuoto e Tommaso con la cintura in mano.

Tipologia monumento:

Tipologia immagine: Affresco

Periodo artistico: La località ha una denominazione antica: Lessano, già testimoniata nel 1025. Nostra signora di Lessano era il nome antico della Cappella.
È presumibile che fosse la chiesa di un insediamento altomedievale, abbandonato quando, per necessità di difesa, gli abitanti si aggregarono alla vicina Pianezza. Nella circostante area cimiteriale sono stati ritrovati laterizi di epoca romano-altomedievale.
Posta su una diramazione della Via Francigena, quella che dalle vallate alpine e dalla Lombardia permetteva di evitare la sosta a Torino, assunse l’attuale denominazione nel XVII secolo. Un’ipotesi, ma molto incerta, è che si riferisca ai pellegrinaggi diretti al Campo della Stella (Compostella) ove è la tomba di San Giacomo Apostolo.
Come Druento, Rivoli, Celle, anche Pianezza ebbe luogo di sosta e di preghiera dedicato alla Madonna della Stella.
L’attuale costruzione fu elevata, forse in due tempi, nel corso del 1400. Prima il Presbiterio a volta, poi il corpo della chiesa, di maggiore larghezza, con il soffitto a capriate, ora coperto da cassettoni.
Il presbiterio è ricoperto da affreschi della seconda metà del Quattrocento, di un ignoto pittore di scuola jaqueriana, ma che risente di influenze rinascimentali. L’opera è stata restaurata nel 1997.
Il campanile fu elevato nel corso del 1700. Per un voto, a partire dal 1714 la festa viene celebrata il 12 Settembre.

Cronologia: XV sec.

Materiale informativo ed illustrativo:
x

Note storiche:

La data di costruzione è incerta; secondo il Cibrario fu costruita nel 1476, ma sulla parete esterna c’è scritto "1472"; nell’affresco di San Lorenzo (parete destra della navata) c’è un cartiglio con data "13 maggio 1480".


La chiesa ha un porticato davanti all’ingresso, era un riparo per i fedeli ed i pellegrini; una navata; il presbiterio, che è la parte più antica; ha anche una casa di civile abitazione, che un tempo era la casa del Romito, che ospitava anche pellegrini.

Bibliografia:
x

Url: x

Note:

Per ulteriori informazioni, vedi: http://www.comune.pianezza.to.it

http://www.archeocarta.it/pages/page.asp?c=document&id=266&p=TO

Fruibilità:
Aperta in occasione delle giornate “Pianezza a porte aperte”, l’ultima domenica di Maggio, e su richiesta, rivolgendosi al Comune, tel. 011.9670000

Rilevatore: Angela Crosta, Gruppo Archeologico Torinese

Data ultima verifica sul campo: 2013-04-07T00:00:00

MANTA (Cn). Santa Maria del Monastero. Affreschi del periodo jaqueriano.

Fu il primo luogo di culto di Manta ed è uno dei più antichi monumenti cristiani del Piemonte sud-occidentale. La conformazione muraria, la tipologia delle absidi connesse a spigolo vivo, la struttura di una coppia di archetti binati che le decora, la conformazione dei pilastri interni consentono di collocare la costruzione negli ultimi decenni dell’XI secolo. La sua presenza è però accertata per la prima volta in due atti di donazione del 1175 e del 1182, in cui compare come testimone un certo “Aimo presbiter” o “Prior de Manta”.

Descrizione:
Le sue origini appaiono legate all’Abbazia di Pedona, oggi Borgo San Dalmazzo, che vantava numerose fondazioni religiose nel cuneese e nel saluzzese. Venne edificata con annesso un convento di monaci benedettini (da qui il nome di S. Maria del Monastero) come descritto in una bolla papale del 1216, che la classifica appartenente alla diocesi di Torino.
La chiesa conobbe alterne vicende di splendore e di rovina, con passaggi dalla diocesi di Torino a quella di Asti, poi di Mondovì ed ancora di Torino. Infine nel 1483 venne aggregata alla Collegiata di Saluzzo e nel 1511 entrò a far parte della diocesi di Saluzzo, accordata da Giulio II su supplica di Margherita di Foix.
Il monastero fu distrutto per lasciare posto ad una fornace di mattoni, da molto tempo anch’essa scomparsa. Già a partire dal 1575, in documenti ecclesiastici, non si trovano più riferimenti alla comunità monastica.
Nel XV secolo assunse il ruolo di cappella cimiteriale per le “famiglie cospicue“ del paese. A tal fine venne sopraelevato di circa 90 cm. il livello della pavimentazione originale.
Conservò questa funzione per secoli. Porta la data del 1539 l’iscrizione che ricorda la sepoltura di Francesco Franchi. Purtroppo sono andate perse le altre lapidi funerarie, sostituite durante il restauro del pavimento (anni ‘90) con lastre in pietra.
Fu frequentata fino al 1673, quando si aprì al culto l’attuale parrocchia di Santa Maria degli Angeli, dalle genti di pianura, mentre la popolazione della collina usava raccogliersi nella parrocchiale annessa al castello.
Nel corso dei secoli, come testimoniano le relazioni di visite pastorali, venne assai trascurata. Solo nella seconda metà del 1700 si verificò un rinnovato interesse per la chiesa, che si concretizzò con il rifacimento della facciata, la costruzione del campanile, la copertura dell’abside centrale con una volta a spicchi, con la posa dell’altare che è un classico esempio del barocco saluzzese di quell’epoca.
Nell’800 non venne praticamente più usata e subì un grave progressivo degrado.
Nel corso della seconda guerra mondiale venne utilizzata come comando militare di artiglieria alpina e poi come presidio di truppe tedesche, infine come deposito e magazzino. In quegli anni si verificarono gravi danni alle pitture parietali.
Fu soltanto a partire dagli anni 1970 che ebbero inizio gli interventi di conservazione con un primo restauro degli affreschi, staccati per essere poi conservati, parte in Casa Cavassa di Saluzzo, parte alla Galleria Sabauda di Torino, sino al 2001.
Nel 1986 venne completamente rifatta la copertura lignea a capriate, poi si procedette al risanamento dell’abside centrale, alla sostituzione dei serramenti ed al rifacimento del pavimento, oltre che ad un importante lavoro per ovviare all’infiltrazione di umidità sul lato nord.
Un’importante serie di lavori ha interessato nel 2006 e 2007 sia l’esterno che l’interno dell’edificio. Al suo interno sono stati ricollocati nella navatella destra, loro luogo di origine, gli affreschi strappati nel 1979. Anche l’abside centrale ed il relativo altare sono stati ripuliti e ricolorati, ripristinando l’effetto “trompe l’oeil” molto gradevole ed efficace.
Esternamente i lavori hanno riguardato il risanamento del lato nord mediante raccordo delle gronde al rio S. Brigida e ripristini della canalizzazione dello stesso rio a monte della chiesa e lungo tutto il fianco.

Tipologia immagine: Affresco

Periodo artistico: L’anonimo artista che realizzo’ le opere, verosimilmente intorno agli anni 30 del 1400 con la collaborazione della sua bottega, riflette l’influenza stilistica del maestro attivo presso la sala baronale del castello (anni 20), mostrando di saper coniugare l’espressionismo tipico dello Jaquerio con un gusto raffinato e cortese tipico del gotico internazionale.
Queste caratteristiche inseriscono il pittore di Santa Maria del Monastero in un filone di produzione artistica assai diffuso in zona e che vede altri eccellenti esempi nella chiesa dell’antica parrocchiale di Manta (annessa al castello), nella chiesa della S. Trinità presso Scarnafigi e nella cappella dei Santi Crispino e Crispiniano della chiesa di San Giovanni a Saluzzo.
Gli ultimi studiosi parlano dell’autore di questi affreschi come di un non meglio precisato “maestro della Manta”, il quale avrebbe operato con le sue maestranze nei cicli pittorici presenti nella sala baronale del castello, oltre che nella antica chiesa castellana.
Il pittore si rivela in questo ciclo prezioso nelle policromie, un attento disegnatore, abile nel chiaroscuro e nella riproduzione dettagliata dei panneggi delle vesti fatte di tessuti scelti con cura. I personaggi sono caratterizzati nelle espressioni dei volti dall’incarnato chiaro con tratti delicati, che ritraggono sottili sopracciglia e piccole bocche.
Molta attenzione è rivolta ai dati di natura, in particolare nei prati fioriti e negli alberi frondosi.
Gli affreschi che si trovano ora appoggiati alla parete della navatella destra: San Nicola con il bastone e la mitra in quanto vescovo, con in mano tre monete d’oro che regalò in dote a tre giovani poverissime. San Leone Papa con il triregno, patrono di Manta.
La deposizione di Cristo nel sepolcro: sul fondo blu si stagliano le rocce grigie del Golgota su cui si erge la croce; in primo piano è il sepolcro in pietra semplice e squadrato, in cui viene adagiato Gesù. Due personaggi gli sono accanto: Giuseppe d’Arimatea con una folta barba grigia ed un cappello a cono arrotondato, e Nicodemo con il volto quasi illeggibile ormai, caratteristico per il copricapo a larga tesa. In basso la Maddalena dai lunghi capelli biondi protesa a baciare la mano del Cristo. In secondo piano due pie donne e Maria, figura altamente patetica, al centro della composizione, avvolta in un fluente manto blu. Ha il volto contratto dal dolore, le guance segnate da vistose lacrime. Sulla destra, S. Giovanni, solo in parte visibile.
San Biagio. Ritratto con la mitra perché era vescovo di Sebaste (nome di alcune città dell’oriente fondate in onore di Augusto, infatti è l’equivalente del latino Augustus; nome dato, ad esempio, all’antica Samaria in Giudea). Tiene in mano il pettine dei cardatori di lana, strumento del suo martiri.
L’Annunciazione: in mandorla, al centro, Dio Padre, il Bambino con la croce in spalla, a sinistra un angelo vestito di rosso con ali molto frastagliate e le penne segnate una ad una, con in mano un cartiglio illeggibile. A destra la Madonna, con la colomba dello Spirito Santo che le sfiora la fronte, inginocchiata davanti al Vangelo aperto alla pagina su cui sta scritto “Ecce Ancilla Domini, fiat mihi….”. Dietro a lei un trono in legno, con bifore gotiche sullo schienale. Da evidenziare l’espressione dolcissima del suo volto e la finezza dei tratti.
Nel semicatino la Santa Trinità in mandorla con angeli che le fanno corona. Molto belli nella raffigurazione pittorica e con i colori molto ben conservati. Purtroppo la scena è in gran parte andata persa.
Ai due pilastri del lato sud sono appoggiati:
San Giacomo di Galizia: con la tunica bianca e il manto rosso con ampie pieghe e volute, cappello a larghe falde, bastone bisaccia e borraccia che rappresentano la sua condizione di pellegrino.
San Benedetto: senza barba, indossa il saio nero dell’ordine da lui fondato. Ha in mano un libro e il pastorale vescovile, seppure non sia nemmeno certo che fosse sacerdote.
Uno stemma: su sfondo bianco una pianticella verde sradicata, con piccole foglioline, e una banda rossa che attraversa il tutto. L’ipotesi più verosimile è che si tratti dell’insegna della famiglia Urtica di Verzuolo, vassalli dei marchesi, forse i committenti di questi affreschi.
Riveste grande interesse il Giudizio Universale, l’affresco più vasto presente nella chiesa, che domina la parete sud per tutta la sua altezza, oggetto di un restauro conservativo e fissativo nel 1995.
Cristo giudice si trova al centro della mandorla sostenuta da sei angeli. La sua figura maestosa è avvolta in un ampio manto rosso, morbidamente panneggiato; l’espressione del volto è irata con gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Alla destra e alla sinistra del Cristo giudicante si snodano due cartigli, l’uno con la scritta “Venite benedicti posidete regnum qui paratum est vobis” e l’altro “Ite maledicti in ignem eternum qui paratum est vobis”. Ai lati sono la Madonna, inginocchiata e con le mani giunte in atto di preghiera e San Giovanni, con i riccioli scompigliati, la barba e i baffi incolti; in alto due coppie di angeli portano gli strumenti della Passione. Nella zona inferiore si trova la raffigurazione della città celeste con San Pietro che accoglie le anime dei salvati sulla porta di un edificio gotico. Solo poche tracce rimangono del regno degli inferi: la scena risulta deturpata da un’apertura ad arco successiva ai dipinti. Si possono osservare ancora parte delle ali di due diavoli e una coppia di dannati che invocano il perdono.
Lungo la parete sono altre scene. Una, poco leggibile e di difficile interpretazione rappresenta probabilmente un episodio della vita di un santo (martirio di San Pietro martire ?), l’altra il martirio di San Sebastiano: la figura del santo e del suo persecutore sono bianche e i tratti dei volti cancellati; si è conservato il colore rosso della veste dell’arciere e del suo curioso cappello a punta.
Un successivo riquadro ritrae San Fabiano, Sant’Antonio abate e ancora un San Sebastiano rappresentato questa volta nelle vesti di un nobile cavaliere.
Nell’absidiola del lato nord troviamo un’Annunciazione molto simile a quella che si trova nel santuario di San Leone sulla collina di Manta, datata 1422.
Sulla parete a sinistra San Benedetto e San Bernardino da Siena (1380-1444). Quest’ultimo figura rappresentativa dello spirito di religiosità attiva e operante che percorse gli ordini religiosi nella prima metà del secolo quindicesimo. Aderì al francescanesimo. Si distinse come uno dei maggiori predicatori della sua epoca, la cui parola ebbe una forte incidenza non solo sul sentimento religioso e sul costume di grandi masse, ma intervenne anche come autorità in questioni sociali e politiche. Fu dedito alla riforma spirituale organizzativa del suo ordine. Fu scrittore latino in trattazioni e controversie di carattere dottrinario. Fu canonizzato nel 1450 da Papa Niccolò V: Proclamato patrono dei pubblicitari da Pio XII nel 1956.
I tre cappelli vescovili ai suoi piedi indicano la rinuncia ai tre vescovati che gli erano stati offerti.
Tranne quelli della parete sud, tutti gli altri affreschi sono stati oggetto di pulitura e restauro nei primi mesi del 2007.

Fonte: http://www.comunemanta.it

Cronologia: XIV sec.

Note storiche:

L’edificio ha oggi solo in parte conservato il suo aspetto originario.
La facciata a capanna, rifatta nel 1760, è segnata da 4 lesene che la dividono in 3 parti corrispondenti alle navate interne e presenta una cornice orizzontale a 6 aperture di varia foggia.
L’interno si presenta nella forma classica della basilica romanica a tre navate, spartite da quattro pilastri, coperte da armatura lignea e chiuse con absidi semicircolari. L’abside maggiore è illuminata da una coppia di monofore, ha il semicatino celato da una volta a spicchi settecentesca; le absidi laterali presentano ancora invece il semicatino originario. Gli scavi del 1995 hanno portato alla luce sul fronte di un altare trecentesco una splendida veronica, sovrastata dai volti della Vergine, di San Pietro e di San Paolo molto ben conservati.
L’orientamento canonico del lato presbiteriale, da nord a sud, è rispettato, con una sensibile pendenza verso sud. Al livello dei muri perimetrali, tra il fianco settentrionale e quello meridionale dell’edificio, si registra una differenza di quota di ben 130 centimetri.

Gli affreschi:
Fanno parte del fervente periodo del Quattrocento pittorico del saluzzese. Sono oggetto di studi di numerosi esperti già fin dagli anni 50. Strappati in parte nel 1979, per un’importante rassegna torinese dedicata a “Giacomo Jaquerio ed al gotico internazionale“, furono poi esposti al museo civico Casa Cavassa di Saluzzo per oltre 20 anni. Altri furono conservati alla Galleria Sabauda di Torino dalla quale vennero restituiti nel 2004, quando l’edificio era stato riportato ad un discreto grado di manutenzione rispetto al gravissimo stato di degrado riscontrato negli anni del dopoguerra.
Nell’anno 2007, dopo un delicato e lungo lavoro di preparazione muraria, sono stati ricollocati nel loro luogo d’origine quelli strappati dalla navatella destra.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 2013-02-26

AVIGLIANA (To). Santuario della Madonna dei Laghi, Pilone con affresco Madonna che allatta il Bambino.

Il Santuario si trova sulla strada provinciale 589, nel tratto che percorre la sponda orientale del lago Grande di Avigliana.

Descrizione:
Il Santuario deve la sua origine alla devozione per l’immagine della Madonna del Latte, affrescata su un pilone edificato nel luogo dove ora sorge il santuario. Quest’opera viener accostata da alcuni critici, sia pure timidamente, alla cultura artistica di Giacomo Jaquerio.

Tipologia immagine: Affresco

Periodo artistico:  – da Cesare A. Ponti, Vecchia Avigliana – Storia dalle origini alla fine del XIX sec., Susalibri, 2011
“Dietro l’altare, sull’originario pilone al centro del coro, si trova l’antico affresco della Madonna che allatta il Bambino: quest’opera viene accostata da alcuni critici, sia pure timidamente, alla cultura artistica di Giacomo Jaquerio, pittore di notevoli capacità che tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400 operò anche nelle vicinanze di Avigliana, più precisamente a Pianezza ed a Sant’Antonio di Ranverso.
Nel 1760, per conservare la memoria di questa primitiva immagine, i Padri Cappuccini la fecero riprodurre dal Bolteman sulla facciata opposta del vecchio pilone.”

– da Natale Maffioli, Il Santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, Avigliana 2011.
“L’immagine di Avigliana è altamente coinvolgente: seduta su un seggio coronato da cuspidi con piccoli stendardi, Maria, dopo essersi slacciata la veste, porge il seno al piccolo Gesù, entrambi guardano il fedele che si sofferma in preghiera. Le vesti sono semplici: una tunica rossa e un manto nero foderato di bianco per la Madre e una vestina verde per il piccolo Gesù; alcune finezze sottolineano la cura con cui le figure sono state realizzate: le aureole, il colletto dell’abito del piccolo Gesù, il bordo della veste e la cintura della Madonna sono decorati con bottoni in pastiglia, forse un tempo dorata.
Il pilone fu fatto segno di attenzione e di devozione, ma, stando a quanto scrive lo storico del santuario il padre Placido Bacco da Giaveno, nel 1447, per ordine di Ludovico di Savoia (1413-1465), fu rinnovato e l’immagine, forse corrosa dagli agenti atmosferici, fu ridipinta secondo il gusto del tempo, ed è quella che vediamo ancor oggi…
L’immagine del pilone può essere considerata come un prodotto tipico della cultura figurativa denominata gotico internazionale. Avigliana non è distante dall’asse che congiunge Sant’Antonio di Ranverso a Pianezza teatro delle imprese di Giacomo Jaquerio (1375 c. – Torino, 1453), uno dei più significativi pittori che operarono al di qua delle Alpi Occidentali nei primi decenni del Quattrocento. Le immagini che popolano il presbiterio e la sacrestia della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e quelle che animano l’absidemaggiore della Pieve di San Pietro a Pianezza testimoniano un gusto che fu anche del pittore del pilone di Avigliana.”

Cronologia: XV sec.

Note storiche:
Nel 1760, per conservare la memoria di questa primitiva immagine, i Padri Cappuccini, la fecero riprodurre dal Boltenan sulla facciata opposta del vecchio pilone (Cesare A. Ponti, Vecchia Avigliana, Storia dalle origini alla fine del XIX sec., Susalibri 2011 – vedi sotto).
All’immagine si rivolgevano le donne incinte o che allattavano, e quelle che desideravano avere figli; fra queste, secondo la tradizione, anche Bona di Borbone, moglie di Amedeo VI, il Conte Verde, che divenne madre nel 1360 di Amedeo VII, il futuro Conte Rosso.
Verso la fine del Trecento attorno al pilone si eresse un sacello; nel 1622 iniziarono i lavori per la costruzione della nuova chiesa, che dell’edificio originario conservò solamente il presbiterio con l’antico pilone, e fu consacrata nel 1643.
La struttura è a pianta centrale, con il vano principale, di forma ovale, su cui si aprono due cappelle laterali e il presbiterio, a sua volta affiancato da due ambienti; dietro il presbiterio fu edificato il coro, al centro del quale, nel 1912, si costruì un nuovo pilone in sostituzione di quello antico.
La facciata è preceduta da un pronao con quattro colonne; il timpano e l’arco trionfale sono affrescati.
Il campanile, a base triangolare, nel 1765 sostituì quello precedente, demolito perché pericolante.
Negli anni venti del Seicento il Santuario, precedentemente affidato agli agostiniani, passò ai cappuccini; attualmente è retto dai salesiani.
Dai Savoia nel corso del tempo il Santuario fu progressivamente arricchito con le donazioni di pregevoli opere d’arte, tra cui si possono ricordare alcune tele: S. Michele Arcangelo di Antonio Maria Viani, S. Maurizio Martire di Guido Reni, la copia di un’opera di Caravaggio, la Madonna dei Pellegrini, e rappresentazioni di Santi francescani.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 2012-11-18

VILLAFRANCA PIEMONTE (To). La Cappella di Missione.

La Cappella di Missione, nel territorio del Comune di Villafranca Piemonte.

Descrizione:
I primi decenni del XV secolo furono una stagione straordinaria per la pittura del Piemonte, felicemente inserito in un irripetibile contesto politico e culturale internazionale che comprendeva tutta l’area governata dal “bizzarro” duca Amedeo VIII di Savoia, detto “il pacifico”.
Amedeo VIII che divenne persino antipapa, con nome di Felice V, dominava, oltre al Piemonte, la Savoia e parte della Svizzera. La multinazionalità del suo ducato favoriva la fusione di culture vicine ma diversissime in un contesto di straordinaria ricchezza.
Amedeo VIII fu, tra l’altro, il fondatore dell’ordine militare di San Maurizio, poi trasformatosi nell’Ordine Mauriziano, al quale appartengono ancor oggi alcuni splendidi monumenti piemontesi.
Non a caso l’eccezionale fioritura pittorica di quel periodo viene definita gotico internazionale ed annovera, nel segno del più celebre esponente, ossia Giacomo Jaquerio, decine di altri artisti che hanno tramandato un patrimonio inestimabile.
Tra questi artisti, spesso ignoti, brilla Dux Aymo che ha lasciato la sua testimonianza più preziosa nella Cappella di Santa Maria Assunta della frazione Stella, poco fuori dell’abitato di Macello non lontano dal comune di Vigone e nella Cappella di Missione presso Villafranca Piemonte.

Vedi la scheda allegata con una presentazione dettagliata della Cappella Stella di Macello e quella di Missione a Villafranca Piemonte, … di Mario Busatto

Definire i rapporti tra l’arte di Giacomo Jaquerio e le opere di Dux Aymo o degli altri pittori contemporanei attivi nell’area alpina occidentale di Francia, Italia e Svizzera non è facile.
Sostenere che Jaquerio fosse una sorta di capofila sarebbe sicuramente azzardato ma è certo che sia i maestri di cui ci è stato tramandato il nome sia i numerosi anonimi che affrescarono, in quei decenni, le pareti di Chiese e Castelli si mossero nello straordinario ed irripetibile contesto del gotico internazionale secondo criteri ispiratori comuni a cui non erano certamente estranee la conoscenza reciproca, l’influenza della pittura lombarda e di quella borgognona.
Il realismo di Jaquerio si fonde così con la drammaticità del Maestro della Crocifissione (forse Antonius de’ Manzaniis)  nella Chiesa di San Sebastiano a Pecetto Torinese, l’arguzia divertita di Guglielmotto Fantini si sposa con la leggiadria di certe figure femminili nel Castello della Manta o con certe ascetiche immagini degli anonimi frescanti del monregalese.
Ciò che sorprende ed affascina in questo gioco di reciproche influenze all’interno del gotico internazionale nell’area alpina occidentale è la varietà di personalità pittoriche che si riconoscono in un contesto estetico e culturale comune pur conservando ciascuna caratteristiche peculiari proprie.

Tipologia immagine: Affresco

Cronologia: XV sec

Rilevatore: Mario Busatto

Data ultima verifica sul campo: 2012-07-30T00:00:00

Allegato: aymo-dux-e-giacomo-jaquerio_2.pdf_0.pdf

Vedi anche: GLI AFFRESCHI DELLA CAPPELLA DI MISSIONE

MACELLO, fraz. Stella (To). Cappella di Santa Maria Assunta.

Cappella di Santa Maria Assunta nella frazione Stella del Comune di Macello (To).

I primi decenni del XV secolo furono una stagione straordinaria per la pittura del Piemonte, felicemente inserito in un irripetibile contesto politico e culturale internazionale che comprendeva tutta l’area governata dal “bizzarro” duca Amedeo VIII di Savoia, detto “il pacifico”.
Amedeo VIII che divenne persino antipapa, con nome di Felice V, dominava, oltre al Piemonte, la Savoia e parte della Svizzera. La multinazionalità del suo ducato favoriva la fusione di culture vicine ma diversissime in un contesto di straordinaria ricchezza.
Amedeo VIII fu, tra l’altro, il fondatore dell’ordine militare di San Maurizio, poi trasformatosi nell’Ordine Mauriziano, al quale appartengono ancor oggi alcuni splendidi monumenti piemontesi.
Macello_affreschii_stella4Non a caso l’eccezionale fioritura pittorica di quel periodo viene definita gotico internazionale ed annovera, nel segno del più celebre esponente, ossia Giacomo Jaquerio, decine di altri artisti che hanno tramandato un patrimonio inestimabile.
Tra questi artisti, spesso ignoti, brilla Dux Aymo che ha lasciato la sua testimonianza più preziosa nella Cappella di Santa Maria Assunta della frazione Stella, poco fuori dell’abitato di Macello non lontano dal comune di Vigone e nella Cappella di Missione presso Villafranca Piemonte.

Vedi la scheda allegata con una presentazione dettagliata della Cappella Stella di Macello e quella di Missione a Villafranca Piemonte, … a cura di Mario Busatto.

Macello_affreschi_stella3Definire i rapporti tra l’arte di Giacomo Jaquerio e le opere di Dux Aymo o degli altri pittori contemporanei attivi nell’area alpina occidentale di Francia, Italia e Svizzera non è facile.
Sostenere che Jaquerio fosse una sorta di capofila sarebbe sicuramente azzardato ma è certo che sia i maestri di cui ci è stato tramandato il nome sia i numerosi anonimi che affrescarono, in quei decenni, le pareti di Chiese e Castelli si mossero nello straordinario ed irripetibile contesto del gotico internazionale secondo criteri ispiratori comuni a cui non erano certamente estranee la conoscenza reciproca, l’influenza della pittura lombarda e di quella borgognona.
Il realismo di Jaquerio si fonde così con la drammaticità del Maestro della Crocifissione (forse Antonius de’ Manzaniis)  nella Chiesa di San Sebastiano a Pecetto Torinese, l’arguzia divertita di Guglielmotto Fantini si sposa con la leggiadria di certe figure femminili nel Castello della Manta o con certe ascetiche immagini degli anonimi frescanti del monregalese.
macello-affCiò che sorprende ed affascina in questo gioco di reciproche influenze all’interno del gotico internazionale nell’area alpina occidentale è la varietà di personalità pittoriche che si riconoscono in un contesto estetico e culturale comune pur conservando ciascuna caratteristiche peculiari proprie.

Tipologia immagine: Affresco

Cronologia: XV se

Rilevatore: Mario Busatto

Data ultima verifica sul campo: 2012-07-30T00:00:00

Allegato: aymo-dux-e-giacomo-jaquerio_2.pdf.pdf

Vedi anche: GLI AFFRESCHI DELLA CAPPELLA DI MISSIONE

PRIOLA (CN), frazione Casario. Cappella di San Bernardo.

Dalla SS28, nel comune di Priola svoltare seguendo le indicazioni per il centro del paese; seguire poi per la frazione Casario lungo la SP292, superando le rovine del castello di Priola.

Poco prima di entrare nel paese, presso le prime case (la strada diventa Via della Costa) si nota sul lato sinistro della strada un cartello che riporta la segnalazione per la cappella di San Bernardo: il sentiero, percorribile a piedi in circa 15 minuti, porta alle rovine di una fortificazione e alla chiesetta.

Descrizione:

La cappella è stata realizzata, probabilmente alla fine del XIV secolo, installandosi sul perimetro di una struttura fortificata, verosimilmente reimpiegandone anche il materiale edilizio, con l’abside poggiante sui resti della torre circolare e su parte delle mura perimetrali.
La fortificazione presentava una torre circolare presso il lato Sud-Est (uno dei due lati minori), conservata per circa 1 m in elevato e dal diametro di circa 2 m. Da qui si sviluppava un corpo quadrangolare: la linea delle mura perimetrali si può ancora seguire se si osserva il terreno del prato antistante la chiesa con un po’ di attenzione; sul lato opposto alla torre, quello rivolto verso Nord-Ovest, i ruderi murari assumono un andamento che fa pensare all’esistenza di due torri semicircolari d’angolo.

L’interno della cappella campestre di San Bernardo è voltato a botte e presenta AFFRESCHI del XV secolo che raffigurano il Cristo Pantocratore e immagini di santi : sant’Antonio Abate, san Sebastiano, forse di mano di  Fra’ Enrico Biazaci, 1451, da verificare
Un altro affresco raffigura San Giorgio mentre uccide il drago al cospetto dei feudatari di Priola, affacciati a una finestra del castello. Quest’immagine è la raffigurazione più antica del maniero e richiamerebbe lo stile di Giacomo Jaquerio.
Gli affrechi sono stati restaurati nel 1999 dalla ditta Nicola Restauri.

Note storiche:

Il toponimo di “Petra Auriola”, da cui l’odierna Priola, compare per la prima volta nel XIII secolo nel cartario della Certosa di Casotto come luogo di stipula di vendite e donazioni a favore dei monaci (CONTERNO 1970, p. 387).

La sede pievana cui afferiva questo insediamento sparso doveva essere collocata entro l’attuale frazione di Pievetta già dal V secolo d.C., mentre a Priola, secondo le prime fonti medievali, era la sede della corte (RAVOTTO 2004, p. 32-33) incastellata.

In seguito all’espansione aleramica lungo il Tanaro, il comune di Priola entrò a far parte del distretto marchionale dei Ceva.

Nel 1225 Giorgio II il Nano vendette anche il feudo di Priola per ottenere da Asti aiuto militare contro l’alleanza tra il marchese di Ceva Guglielmo, i Clavesana e Mondovì; alla fine del XIII secolo però la città stessa vi infeudò nuovamente i marchesi di Ceva vincitori (CASALIS 1834, vol. II, pp. 14-15).

Nel corso del XIV secolo fu infeudato ai Pallavicino di Ceva, ramo cadetto della famiglia marchionale, signori del luogo e vassalli dei Savoia.

In documenti del XVII secolo la chiesa campestre di San Bernardo risulta sotto la parrocchiale di San Giusto, che a sua volta era stata attribuita dal vescovo di Asti ai monaci benedettini dell’abbazia di San Giusto di Susa già dal IX secolo (i resti della chiesa di San Giusto sono visibili lungo la SP292 immediatamente ai piedi del castello di Priola).

San Bernardo, in ogni caso, non deve essere molto anteriore al XV secolo: tra XV e XVI secolo sorgono infatti le numerose cappelle campestri del territorio di Priola (PALMERO 1998, p. 6).

Bibliografia:
 – BOCCARDO, Marco Il castello di Priola e il suo territorio: storia, restauro e valorizzazione. Rel. Tosco, Carlo Mario and Occelli, Chiara. Politecnico di Torino, 1. Facoltà di architettura , 2005
– PALMERO B., 1998, Schede storico-territoriali dei comuni del Piemonte. Comune di Priola.
– BERRA L., 1943, La strada di Val Tanaro da Pollenzo al mare dal tempo dei Romani al tardo Medioevo, in «BSSSAACn», 23, pp. 71-89.
– CONTERNO E., 1970, Frazionamenti di possessi e valori di terre nel XIII secolo: gli acquisti della Certosa di Casotto, in «BSBS», 68, pp. 377-413.
– CASALI G., 1834, Dizionario geografico storico-statistico commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, vol. II.

Url: http://www.culturaterritorio.org/zfiles/CMAVT_10.htm

Note:
Notizie e fotografie tratte dai siti: http://www.culturaterritorio.org   e  http://www.prolocopriola.com

Fruibilità:
Per visitare la cappella, contattare il Parroco di Mursecco di Garessio, tel. 0174-88013.

Rilevatore: Angela Crosta

Data ultima verifica sul campo: 2011-03-08

PECETTO TORINESE (To). Chiesa di San Sebastiano (affreschi di pittori di scuola jaqueriana).

Localizzazione e recapiti:

All’estremità meridionale dell’abitato attuale, presso il cimitero, si trova la chiesa romanico-lombarda di San Sebastiano, parrocchiale "ad antiquo", dalla facciata spoglia, incentrata su un oculo ed un portale ogivale, che evidenzia lo spazio della nave centrale.

Descrizione:

L’interno a tre navate – con abside rivolta a E e sistema costolonato ad archi ogivali e volte a crociera – è adorno di affreschi illustranti episodi della vita di San Sebastiano e di altri santi, di scuola lombardo-piemontese dei sec. XV e XVI; tra i primi, importante è la Natività di Jacopino Longo (1508) sulla controfacciata.


Alla parete destra, Madonna del Rosario, santi e devoti (1608).


Nel presbiterio, a sinistra dell’altare, Madonna col Bambino e santi (1681); sulla parete di fondo, grande Crocefissione (c. metà del sec. XV).


Sulla volta del presbiterio, affreschi di Guglielmetto Fantini (storie di San Sebastiano e di Sant’Antonio Abate, evangelisti), pittore formatosi sugli esempi di Giacomo Jaquerio).

Tipologia monumento:

Tipologia immagine: Affresco

Periodo artistico: x

Cronologia: XV – XVI sec.

Materiale informativo ed illustrativo:
x

Note storiche:

Il luogo è legato alla storia territoriale di Chieri.


A S dell’abitato, nell’area oggi compresa tra la chiesa di San Sebastiano e la frazione di San Pietro, era l’insediamento di "Covacium". menzionato nel 1064 tra i beni dell’abbazia di Nonantola, nel 1159 tra quelli dell’abbazia di San Solutore, quindi possesso dei Biandrate.


Nel 1224 gli uomini di "Covacium" vennero aggregati alla comunità di Chieri: la creazione nel 1227 di Pecetto quale borgofranco, con una torre di difesa, segnò la completa affermazione di Chieri contro i vescovi di Torino ed i conti di Biandrate, cui seguì il prevalere del nuovo insediamento sul precedente (testimoniato dall’elezione a pieve nel 1386).


Il borgo con opere difensive e ricetto passò nel 1542 sotto Torino.

Bibliografia:
x

Url: x

Note:

Una presentazione completa degli affreschi all’interno si trova nell’allegato studio di Mario BUSATTO dal titolo: "Nel segno di Jaquerio a Pecetto".


 


Vedi anche l’allegato alla scheda dal titolo: "CHIERI (To). Duomo, la Cappella Gallieri"


Augusto CAVALLARI MURAT, Antologia monumentale di Chieri, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Torino 1969.


Parte V. Cicli di affreschi locali e collezioni di tavole transalpine nei due secoli dell’Umanesimo.
Nella prospettiva sociologica locale, la cromatica spavalderia del "Maestro di Chieri" è contestazione ai condizionamenti borgognoni ed alle riforme padane.
Negli affreschi di Pecetto la "bottega di Jaquerio" adatta popolarmente le proposte formali di Ranverso e di Pianezza con la vena cortese di Manta.
pagg. 72-76

Fruibilità:
Chiavi presso il Comune, tel. 0118609218.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 2010-03-21T00:00:00

Allegato: nel-segno-di-jaquerio-a-pecetto.pdf

BRIGA MARITTIMA (F). Gli affreschi di Nostra Signora del Fontano,di G. Canavesio.

Localizzazione e recapiti:

Santuario di Notre Dame des Fontaine a Briga Marittina in Francia.

Descrizione:

Giovanni Canavesio è un pittore attivo nella seconda metà del XV secolo. Documentato a Pinerolo nel 1450 e poi, dal 1472 al 1500, nella Liguria occidentale e nel Nizzardo, eseguì ampi cicli di affreschi (nella chiesa di San Bernardo a Pigna 1482, nella Chiesa di Nostra Signora del Fontano a Briga, 1491-1492) e numerosi polittici. Si formò probabilmente nella cerchia di Giacomo Jaquerio, artista torinese, le cui opere sono inquadrabili nel Gotico internazionale, ma con accenti realistici di origine borgognona.

Vita ed opere
Polittico con San Domenico, i quattro dottori della Chiesa, Madonna col Bambino e santi, 1472, Taggia, chiesa del convento di San DomenicoLe notizie sulla sua vita sono piuttosto scarse. Sappiamo dagli archivi che nel 1450 teneva bottega a Pinerolo (ove è registrato come “maestro pittore”); nel 1472 era presente in Albenga assieme al fratello Giacomo, poi sino al 1500 si spostò con grande frequenza – esempio di atelier itinerante – lungo i crinali delle Alpi Marittime, firmando e datando le sue opere.
La firma (“Presbiter Johes canavesis”) posta sul polittico conservato alla Galleria Sabauda di Torino testimonia che, nel corso della sua vita, ebbe a prendere i voti.
Gli furono affidate commesse realtive a grandi cicli di affreschi le cui raffigurazioni pittoriche erano didatticamente pensate come “Biblia Pauperorum” ad uso dei fedeli. Agli affreschi si aggiungevano talvolta richieste di polittici destinati a decorare gli altari.
Tra i cicli di affreschi eseguiti da Canavesio in Liguria va ricordato quello della chiesa di San Bernardo a Pigna (1482) (Imperia) con scene della Passione e del Giudizio Universale e l’affresco araldico del 1477 presso il palazzo vescovile di Albenga.
Tra i polittici rimasti, oltre a quello della Sabauda, vanno menzionati quello nella chiesa del convento di San Domenico a Taggia (Imperia) (1472), quello che ora si trova nella chiesa dei Santi Giuseppe e Floriano a Verderio Superiore (Lecco) (1499) e quello, recentemente restaurato, nella parrocchia di San Michele a Pigna (Imperia) datato 1500.
Il grandioso ciclo di affreschi di Nostra Signora del Fontano è un unicum nella storia dell’arte rinascimentale. La piccola chiesa, che sorge in una valle verdeggiante ed aprica, presso una sorgente considerata sacra da genti liguri insediate nella regione sin dall’epoca protostorica, fu decorata su tutte le pareti interne con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. Canavesio, nel disegno delle figure e nella pittura delle scene risente del citato Jaquerio: i personaggi sono espressivi, resi con piglio deciso, in qualche caso popolaresco, i tratti sono fortemente incisi ed angolosi, i colori non di rado terrosi, le ombre livide. A questo sanguigno realismo si compenetra una forte impronta simbolica nella scelta dei soggetti e soprattutto nel gioco di corrispondenze, simmetrie ed antitesi tra i differenti episodi.

Ne risulta una summa sacra ed esoterica, dovuta ad una committenza colta ed ai limiti dell’ortodossia: la committenza privilegiò una disposizione iconografica e la sottolineatura di significati che sorprendono. Infatti nel ciclo di affreschi è possibile rintracciare emblemi, archetipi, valori non apparenti che collegano l’antica sapienza egizia ed ermetica all’esoterismo cristiano. Notevoli le immagini codificate in alcuni riquadri o effigiate: lo svastica, l’urobouros, il quadrato magico, la tartaruga, l’albero della vita…
Alcuni particolari della realizzazione pittorica sono eccentrici o di difficile interpretazione: è il caso, ad esempio, di Satana che ostenta sul capo un basco, di Giuda dipinto con gli organi interni doppi.

Il ciclo di Nostra Signora del Fontano si può reputare un’enciclopedia del sapere esoterico, con qualche concetto “eretico”, riconosciuto come tale anche da esegeti cattolici.
Padre Benoit Avena, infatti, esaminando la rappresentazione di Giuda il cui corpo esanime è appeso ad un albero con foglie di olivo (albero della riconciliazione), conclude affermando: “La Chiesa ritiene che Giuda sia dannato. Il Canavesio sembra voler affermare il contrario… Non si deve piuttosto scorgere un desiderio profondo di nutrirsi forse pure contro la stessa Chiesa, della linfa vitale della Redenzione di Cristo Salvatore, del suo sangue versato per riscattare anche il più miserabile dei suoi fratelli?”.

E’ un’esegesi motivata quella di Padre Benoit Avena da puntuali riscontri tematici ed iconologici. E’ una lettura che, con competenza e dottrina, mette il luce il carattere eterodosso della composizione canavesiana, aprendo ad una riconsiderazione del messaggio salvifico di Cristo.
Sembrano dunque adombrate nell’originale complesso artistico, la salvezza universale, l’apocatastasi dopo la caduta.

Breve profilo artistico
La negazione di S. Pietro, scena del ciclo di affreschi nel santuario di Notre-Dame des Fontaines a Briga Marittima. Cresciuto nel contesto della pittura piemontese verso la metà del XV secolo, dominata dalla lezione gotica di Giacomo Jaquerio, Canavesio fece propri i canoni stilistici di una pittura religiosa che, per rispondere alla sua funzione pedagogica, deve rendere con immediata crudezza le passioni e dare forma grottesca alle malvagità dell’animo umano.
Il profilo artistico di Canavesio non va tuttavia confinato nella dimensione di un onesto frescante, che ripropone fuori tempo canoni stilistici ormai desueti. Egli si dimostra aggiornato sulla evoluzione delle pittura ligure avvenuta sulla scia di Vincenzo Foppa e per impulso, soprattutto, di Ludovico Brea; conosce la scuola provenzale dominata dalle figure di Enguerrand Quarton e di Barthélemy d’Eyck, e conosce (soprattutto attraverso opere a stampa di Israhel van Meckenem) l’arte nordica. Sorprende, nella inquietate rappresentazione del Giudizio Universale di Notre Dame des Fontaines, che la raffigurazione scheletrica della morte intenta ad abbracciare l’abisso infernale e la figura combattente di San Michele, siano una palese citazione tratta da tavole di analogo soggetto eseguite dai fiamminghi Jan van Eyck e Petrus Christus.

Tipologia monumento:

Tipologia immagine: Affresco

Periodo artistico: x

Cronologia: XV sec.

Materiale informativo ed illustrativo:
x

Note storiche:
x

Bibliografia:

– Vittorio Natale, Non solo Canavesio. Pittura lungo le Alpi Marittime alla fine del Quattrocento, in Giovanni Romano (a cura di) Primitivi Piemontesi nei musei di Torino, Fondazione CRT, 1996
– Veronique PLESCH, Painter and priest: Giovanni Canavesio’s Visual Rhetoric and the Passion Cycle at La Brigue, University of Notre Dame Press, 2006, 492p.
Luc THEVENON e Sophie KOVALEVSKY, La Brigue, arts et monuments, Nice, Serre, 1990, 111p.
– Padre Benoît AVENA, Notre-Dame des Fontaines. La chapelle Sixtine des Alpes méridionales, Borgo San Dalmazzo-Cuneo, edizioni Martini, 1989
– Elena ROSSETTI-BREZZI, Precisazioni sull’opera di Giovanni Canavesio: revisione critiche in Bollettino della Societa Piemontese di Archeologia e di Belle Arti, 1964
– Paolo FEDERICI, Una labile traccia indelebile, edizioni 0111, 2007, 208p.

Url: http://zret.blogspot.com/2008_07_01_archive.html

Note:
x

Fruibilità:
x

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 2010-11-27T00:00:00