GINEVRA (Genève CH): Xilografia di Giudizio Universale.
Localizzazione e recapiti:
La xilografia è conservata nella Bibliothèque de Genève col titolo “la bollitura dei prelati”.
Prom. des Bastions 1, 1205 Genève, Svizzera – http://institutions.ville-geneve.ch/fr/bge/
Descrizione:
La xilografia, realizzata forse verso il 1540, riprodurrebbe un affresco di Giacomo Jaquerio che si trovava nel convento ginevrino dei Domenicani di Plain-Palais, fondato nel 1263 da monaci provenienti dalla Francia, che venne completamente distrutto quando l’edificio fu demolito nell’autunno del 1535, dopo la Riforma calvinista.
Presumibilmente il dipinto risale al 1401 o, secondo alcuni critici, al 1411.
Il fatto che Jaquerio abbia affrescato un Giudizio Universale nel convento dei Domenicani a Ginevra, forse nel 1401, sembrerebbe accertato, ma non si hanno dati sulla dimensione, le caratteristiche dell’opera e soprattutto i contenuti della rappresentazione. Ciò che è rimasto sono solo alcune fonti storiche non concordanti e una xilografia realizzata circa 130-140 anni dopo l’esecuzione dell’affresco e alcuni anni dopo la sua distruzione, e che suscita molti interrogativi.
Rappresenta Satana come un mostro dotato di ali e mammelle, con arti inferiori caprini, seduto su un basamento rettangolare sospeso. Sul lungo collo, che porta una grande testa animale con corna che reggono una corona, si innestano altri sei colli e teste cornute (di animali non identificabili) di dimensioni minori.
Satana tiene avvolta con la coda una figura nuda che ha in testa la tiara papale e in mano una borsa probabilmente con denaro. La figura mostruosa sembra evacuare, oppure stare seduta sopra, un’altra testa umana con tiara.
Un diavolo sta in alto a sinistra con in mano un lungo e nodoso bastone, ali e gambe simili a quelle di Satana, ma una sola testa cornuta; a destra un altro demonio simile al primo, ma con lunghe corna, con corde aziona due mantici che dovrebbero alimentare il fuoco della fornace.
Al di sotto di Satana è raffigurato un forno/fornace in muratura a forma di torre circolare con un’apertura in alto da cui emergono i busti di un uomo barbuto; di un monaco tonsurato; di un un religioso che indossa un copricapo che ricorda la forma di un berretto frigio anche se probabilmente vuole rappresentare il cappuccio di una tonaca, e tiene con entrambe le mani un rosario; di un vescovo con la mitria sul capo e in mano il bastone pastorale.
A sinistra del forno, in basso, un altro diavolo con zampe posteriori palmate tiene in mano una specie di gancio doppio.
La scritta in alto, in francese del Cinquecento, evidentemente un commento post Riforma che riprende una discutibile interpretazione iconografica, recita (nostra traduzione):
«Una simile figura fu dipinta nella chiesa dei Giacobini [così erano anche detti i Domenicani che a Parigi avevano il convento presso la chiesa di San Giacomo] di Ginevra, detta Plein [sic] Palais, (a partire) dal 1401 con i versi latini scritti sotto per mostrare che non è da ora che Dio nella sua bontà infinita ha ispirato il cuore di alcuni a sapere che il Papa e tutto il papato è uscito da questa orribile e mostruosa bestia, cioè il principe dell’abisso infernale.»
I versi latini sotto l’immagine (nostra traduzione):
Iudicabit iudices Iudex generalis
Hic nihil proderit dignitate Papalis
Sive fit episcopus sive Cardinalis
Reus condemnabitur, nec dicetur qualis.
Il Giudice universale giudicherà i giudici,
Allora a nulla gioverà la dignità papale,
Che sia diventato vescovo o cardinale,
L’imputato dovrà essere condannato, e non deve essere detto che tipo di (condanna).
Hic nihil proderit quicquam allegare
Neque excipere, neque replicare
Nec apostolicam fedem appellare,
Reus condemnabitur, nec dicetur quare
Non sarà di alcuna utilità discutere qualcosa
Nè far eccezioni, né replicare
Né fare appello alla fede apostolica,
L’imputato dovrà essere condannato, e non deve essere detto per quale ragione.
Cogitare miseri qui vel quales estis,
Quid in hoc iudicio dicere potestis:
Idem erit dominus, iudex, actor, testis.
Pensate, miseri, chi o di che natura siete,
Ciò poteste dire in questo processo:
lo stesso signore sarà giudice, accusatore, testimone.
Tali versi richiamano il Dies Irae, famoso testo del XIII secolo, e sono chiaramente un commento all’immagine, ma è estremamente improbabile che siano stati scritti da Jaquerio, sia perchè non risultano altri commenti alle sue opere, sia per il tipo di contenuto.
Chi li compose e quando?
Impossibile dare una risposta per mancanza di fonti storiche.
La domanda si allaccia all’altra: chi fu il committente dell’opera?
Se un dipinto fu eseguito nel convento, con ogni probabilità il committente fu il Capitolo e l’Abate dell’epoca, che avevano i mezzi economici per far lavorare un pittore abbastanza noto; difficilmente avrebbe potuto essere un’estraneo al monastero o un singolo monaco. Ricordiamo che fin dai Capitoli generali domenicani del 1254 e del 1256 si ordinava di celebrare le feste di s. Domenico e di dipingerne le immagini in luoghi adatti delle chiese dell’Ordine; nel XV secolo era ormai tradizione consolidata raffigurare non solo i santi domenicani, ma anche altri temi e ambiti iconografici: crocifissi, polittici e via dicendo e di cui restano molti esempi in Italia, Germania e Francia (citiamo solo: Santa Caterina a Pisa, San Francesco a Siena, il convento di San Marco a Firenze, il convento di Bolzano). I dipinti che rappresentavano il Giudizio Universale erano frequenti nelle chiese del Quattrocento, però pochissimi sono attestati in quelle domenicane (la cappella Strozzi a Firenze, il convento di Bolzano).
La xilografia raffigura fedelmente ciò che era dipinto nel convento?
Le fonti storiche. Waldemar Deonna (1880-1959, archeologo, direttore dal 1922 del Museo d’arte e di storia di Ginevra, e professore di archeologia in quella università) in un articolo del 1946 riportò le fonti storiche che parlano dell’opera e che elenchiamo di seguito.
Antoine Froment (1509-1581, nel libro stampato successivamente: Les actes mervelleux de la cité de Genève, éd. Fick, 1854, p. 153) ne parla come fosse stato testimone oculare e sottolinea lo stupore dei ginevrini nel vedere il dipinto che descrive in modo simile all’immagine della xilografia. Però l’incisione riprodotta nel testo del 1854 è differente da quella conservata nella biblioteca. Forment commenta (sic p. 76): «Mais du cul de ce dyable sourtit le Pape, et du cul du Pape des Cardinaux, et des Cardinaux des es Evesques, des Evesques des Moynes et Prebstres, et ainsi tout ce menage monstroit estre sourty et venu du cul du Diable.» Tale descrizione non corrisponde alla figura della xilografia che si è conservata.
Michel Roset (1534-1613) si ispirò a Froment o a un’altra fonte contemporanea e descrive le figure in modo simile.
Jean Savion (1565-1630) o suo fratello Jacques (nato nel 1546) ne dà una descrizione simile alle precedenti, riportata del Deonna (nostra traduzione):
«L’anno 1401, un certo Iacopin (sic), considerando le trame e gli abusi dei papi e degli ecclesiastici, fece un ritratto nel convento dei Jacopins (altro nome con cui erano conosciuti i Domenicani) di Vieux (sic) Palaix a Ginevra, fece un dipinto sul muro del convento: foggiò un grande diavolo molto orribile che metteva al mondo (sic) un papa con la sua tripla corona, che uscito dal ventre di questo diavolo cadde in una grande caldaia (sic) che era sotto, che era pieno di persone della sua specie, cardinali, vescovi e monaci, e sotto questa caldaia c’era un grande fuoco e intorno a esso c’erano diavoli che attizzavano e mantenevano il fuoco soffiando con dei mantici.»
La descrizione è un’interpretazione molto soggettiva. Savion aggiunge dei dettagli che i suoi predecessori avevano omesso: la data del dipinto e i versi latini che l’accompagnavano.
Da notare che parla di “un certo Jacopin”, cioè interpreta il nome di Jaquerio come fosse un frate giacobino/domenicano! All’epoca probabilmente poco si sapeva di Jaquerio, ma non si capisce perchè, se avesse visto la xilografia, avrebbe omesso la frase con la firma del pittore. Il testo di Savion, pubblicato nel citato testo a cura di Fick, non menziona la frase “Haec depinxit Jacobus Jaqueri de civitate Taurini in Pedemontio, anno Domini millesimo quatercentesimo primo.”, che Geisendorf cita da Archinard, quindi la sua trascrizione non è conforme alla legenda dell’incisione.
Deonna concluse che si deve presumere che, se Savion fosse stato ispirato da questa incisione e avesse letto i versi latini, avrebbe mantenuto la frase precedente come la data, trascurando però il nome dell’autore. Questa omissione è comprensibile solo se, nell’incisione non fosse stato riportato anche il nome dell’artista, invece di parlare di uno sconosciuto “Jacopin”, quindi si potrebbe ritenere che avesse fatto ricorso a un’altra fonte, tuttora ignota.
Vedi allegato: DEONNA-gen-001_1946_24__228_d
Affresco o tavola?
Le fonti specificano che il Giudizio era dipinto su un muro e Jaquerio ha eseguito affreschi, non tavole, quindi è estremamente probabile che fosse un affresco; inoltre un dipinto su legno, invece che distrutto, sarebbe stato facilmente asportabile e utilizzabile come propaganda antipapale dai Riformati che demolirono il convento.
Data
La data 1401, citata anche nell’iscrizione in alto, nell’ultima in basso, riporta il nome di Jaquerio: Haec depinxit Jacobus Jaqueri de Civitate Taurini Pedemontio, anno Domini millesimo quatercentesimo primo.
Questa ha destato qualche perplessità (Castelnuovo, 2002, pp. 211-212, che propone 1411, quando il pittore è documentato a Ginevra) ma è impossibile, allo stato attuale delle conoscenze, verificarne la correttezza (Romano, 1994, p. 177). Può essere interpretata come prima prova del giovane pittore torinese (Baiocco, 2000, p. 16; scheda di F. Elsig in Il Gotico nelle Alpi, 2002, p. 484; Castelnuovo, 2006, p. 148; Elsig, 2013, p. 178).
L’unica opera sicuramente firmata da Giacomo Jaquerio è la decorazione della parete sinistra nel presbiterio di Sant’Antonio di Ranverso, con la Madonna in trono col bambino fra santi e serie di profeti, voluta da Jean de Polley e databile tra il 1413 e il 1415.
Problemi iconografici.
Da dove Jaquerio avrebbe tratto tale iconografia? Potrebbe essere stata suggerita dai domenicani stessi, ammesso che l’avessero commissionata nei termini che ci presenta la xilografia? Ma tale immagine sottolineiamo, ritrae un particolare del solo Inferno mentre di solito l’iconografia dei Giudizi prevedeva il Cristo Giudice, la schiera dei Beati e la visione delle diverse punizioni infernali. Inoltre, anche se l’opera originale avesse rappresentato solo l’Inferno, è insolita e anomala per le seguenti ragioni, a parere di chi scrive.
1. è difficile ammettere che i Domenicani avessero commissionato un affresco di così piccole dimensioni e soprattutto che riguardasse solo le pene infernali e unicamente di prelati! I Domenicani, custodi dell’ortodossia per ordine papale, difficilmente avrebbero commissionato o potuto permettere – all’inizio del XV secolo – una simile raffigurazione violentemente antipapale per motivi sia di ordine morale, sia teologico, sia di opportunità politica; eventualmente si potrebbe ipotizzare, ma con molte riserve, una critica al cosiddetto Scisma d’Occidente che aveva visto tra il 1378 e il 1417 lo scontro tra papi e antipapi dato che il dipinto sarebbe stato realizzato proprio in quel turbolento e difficile periodo della storia del Cattolicesimo.
Ci è difficile accettare l’ipotesi di Carità (1956) che potesse «essere stata dipinta con chiaro significato di avvertimento morale, in un convento del severo ordine domenicano» sia perchè avrebbero dovuto esserci più monaci dannati che papi, sia perchè non esistono iconografie simili per un confronto.
2. Perché mai Amedeo VIII di Savoia si sarebbe fatto ritrarre come papa, 20-30 anni dopo, nella chiesa di Saint Gervais a Ginevra, dalla stessa bottega/scuola che aveva dipinto così ferocemente la fine dei prelati? (In quel periodo di caos nelle gerarchie cattoliche e di sede vacante, inizialmente Felice V fu eletto papa e solo in seguito considerato un “antipapa”, tanto che, riconciliatosi con papa Niccolò V da questi fu riconosciuto cardinale del titolo di S. Sabina, legato e vicario apostolico nei paesi della sua obbedienza.)
3. A proposito della borsa di denaro del papa tenuto dalla coda di Satana, Carità scrive: «Nè il mostro si commuove di fronte al gesto di un papa che, mentre la coda sta per buttarlo al fuoco, tenta un’estrema corruzione con una borsa di denaro: un “unicum” iconografico, ch’io sappia.» L’interpretazione, appunto, non è suffragata da altri dati, invece se fosse un’aggiunta cinquecentesca, avrebbe una spiegazione nelle feroci accuse di simonia rivolte al Papato dalla Chiesa Riformata.
4. I particolari contro papato e clero sono insistiti ed eccessivi (tiare, mitria, rosario, tonsure ecc.), e tutta la raffigurazione è sgradevole e lontana dalle modalità jaqueriane. Le tiare in testa all’uomo avvolto dalla coda di Satana e a quello evacuato come possono stare in situ, rivolte verso il basso? Sembrano aggiunte a posteriori. Jaquerio era molto attento al realismo dei particolari.
In quasi tutti i Giudizi dell’epoca compaiono anche figure di prelati e papi, oltre che di sovrani, belle dame, guerrieri, mercanti e via dicendo, riconoscibili da copricapi, acconciature o vari oggetti, ma nessuno ha una specificità e un’unilateralità come questa xilografia.
5. L’iconografia del Giudizio Universale non compare in alcuna delle opere di Jaquerio o della sua scuola, anche se non si può escludere un’eccezione.
6. La figura di Satana ha un corpo rappresentato come le abituali caratteristiche iconografiche dei demoni, ma con il capo simile alla Bestia dalle sette teste descritta così nell’Apocalisse 13-2 di Giovanni: «Aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi, e su ciascuna testa un titolo blasfemo. […] era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone.» Tale essere, in epoca medievale, compare raramente in codici miniati e con una raffigurazione diversa da quella dell’opera di cui trattiamo. Inoltre l’identificazione della Bestia apocalittica con Satana non è univoca.
Questa mescolanza di due iconografie, il Diavolo e la Bestia, è un unicum, inoltre, se si osserva attentamente la xilografia, c’è una cesura tra il busto e le teste; il collo sorge dal torace in maniera anatomicamente anomala, con una linea retta tra le spalle, come se fosse stata fatta una sorta di collage.
Questa figura, come scrive Carità «ha un notevole effetto decorativo», ma osserviamo che, nonostante alcune differenze, c’è una certa somiglianza con opere come la nota incisione del 1496-98 di Albrecht Dürer (1471-1528) raffigurante l’Apocalisse; ammesso che sia corretta la datazione della xilografia di Ginevra, sarebbe successiva ad essa, ma i modelli iconografici erano certamente precedenti.
7. Molte raffigurazioni di Satana nel Giudizi Universali medievali del XIV e XV secolo lo mostrano con la abituale iconografia dei diavoli (raramente come lo scheletro della Morte come a La Brigue) o più frequentemente come un mostro con un’altra testa alla base del ventre mentre divora o tiene in vari modi delle figure umane, ma di solito non caratterizzati da oggetti o cartigli (Battistero di S. Giovanni a Firenze, Cappella degli Scrovegni a Padova, San Petronio a Bologna; Cimitero di Pisa); (eccezionalmente le figure hanno copricapi o scritte ad esempio in San Fiorenzo di Bastia Mondovì). La xilografia non è molto leggibile, ma sul ventre sembra esserci una bocca, non una testa – essendocene già sette forse un’altra era troppo! La testa papale potrebbe anche essere di un corpo su cui Satana è seduto, non necessariamente essere stata evacuata.
8. L’oggetto tenuto in mano dal diavolo in basso a sinistra sembra essere un gancio doppio e la parte metallica è inchiodata sul manico di legno con tre chiodi. Tale forma però, a nostra conoscenza, non è attestata nè tra le armi conservate nei musei nè in vari testi sulle armi medievali. Nella Salita al Calvario di Ranverso, Jaquerio raffigura una gran quantità di armi inastate, ma nessuna come questa.
L’arma medievale che più potrebbe assomigliare, ma del XVI secolo, è un tipo di falcione (vedi figura), che però ha una lama e un solo gancio. Anche se non si trattasse di un’arma, ma di un attrezzo da lavoro, non si spiega la presenza di due ganci. Questa divergenza sembra poco spiegabile.
9. Jaquerio era attento al realismo delle raffigurazioni, ma qui il forno/fornace ha caratteristiche anomale, che non ci risultano attestate in archeologia o nell’iconografia dei Giudizi dell’epoca (in alcune opere i dannati sono raffigurati dentro un calderone su un fuoco, ma non in un forno).
In particolare sono singolari e tecnicamente improbabili: la struttura in muratura a forma rotonda che sembra tagliata nella parte superiore (come fosse un pozzo, infatti è disegnata una sorta di basamento sporgente) oppure mancante della copertura, che di solito era a forma di cupola; l’apertura anteriore ad arco, alta quasi quanto l’intera costruzione, che dovrebbe essere la “bocca”, ma da cui escono le fiamme per tutta la sua altezza. Il diavolo a destra soffia su mantici diretti verso la parete laterale invece che verso il fuoco, dato che non è disegnata la tubiera. Pare ci sia sproporzione tra la costruzione e la statura dei dannati, che dovrebbe arrivare a circa metà, o un terzo dell’altezza della fornace, e non è chiaro dove sia situato il piano di appoggio.
10. Una corona del rosario è tenuta in mano dal monaco al centro dentro al forno. Nel primo Quattrocento mettere un oggetto di culto come il rosario – col crocifisso, anche se la figura del Cristo appare poco leggibile – in una raffigurazione infernale era considerato blasfemo, inoltre non ha alcun senso teologico in mano ai dannati. Il rosario stesso fu, secondo la tradizione, proposto da san Domenico nella prima metà del XIII secolo, quindi risulta estemamente improbabile che in un convento di frati domenicani, custodi dell’ortodossia e votati alla lotta contro l’eresia, fosse stata ammessa tale raffigurazione. [La corona con i grani tutti uguali potrebbe non essere anomala perchè, anche se forse per una semplificazione iconografica, compare in alcune raffigurazioni di Madonna del Rosario come quella di Giorgio Vasari in Santa Maria Novella a Firenze o di Caravaggio nel Kunsthistorisches Museum a Vienna.]
Ma se la xilografia fosse stata realizzata come un manifesto anticattolico, poichè la recita del rosario era uno dei punti di critica ai ‘papisti’ da parte della Chiesa Riformata, potrebbe spiegarsi tale iconografia.
In conclusione, chi scrive può quindi con buone basi ipotizzare che la xilografia, pur se ispirata da un affresco di Jaquerio che aveva per soggetto il Giudizio Universale, sia stata usata come un manifesto antipapale e anticattolico e la valenza propagandista è chiara anche nelle scritte in francese sopra l’immagine e nei versi latini sotto. I molti interrogativi iconografici, storici e dottrinali che abbiamo sopra esaminato fanno sorgere il dubbio che il disegnatore cinquecentesco, che mostra una buona mano, abbia modificato, ridotto o artefatto l’originale a tale scopo.
Rilevatore: Angela Crosta
Bibliografia:
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– Baiocco, S. Castronovo, E. Pagella, Arte in Piemonte – Il Gotico, Priuli e Verlucca, Ivrea, 2003
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– Castelnuovo E. ; G. Romano, Giacomo Jaquerio e il gotico internazionale, Palazzo Madama, Torino 1979
– Castelnuovo E. et alii, Arti e storia del Medioevo Collana Grandi Opere, IV voll., Einaudi, Torino, 2002-2004
– Deonna W., De quelques peintures à Genève avant la réforme, in Genava, XXIV 11. (1946), pp. 75-89 copia digitale reperibile in: https://www.e-periodica.ch/digbib/view?pid=gen-001:1946:24
– Elsig F., in Il gotico nelle Alpi: 1350-1450 – Catalogo (a cura di Castelnuovo E.; De Gramatica F.), Museo Castello del Buonconsiglio, Trento 2002
– Elsig F. et alii, Enfer ou paradis: Aux sources de la caricature XVIe-XVIIIe siècles. Une exposition du Musée international de la Réforme, Genève, 16 octobre 2013-16 février 2014, (catalogo) Gollion, Genève 2013
– Griseri A., Jaquerio e il realismo gotico in Piemonte, Fratelli Pozzo, Torino 1966
– Lapaire C., La peinture des voûtes de la chapelle des Macchabées – Extrait de Genava, n. s., Tome XXV, 1977 (pp. 227-242) (a p. 239 ipotizza per il Giudizio addirittura la data del 1450)
– Ordine Mauriziano (a cura di), Sant’Antonio di Ranverso, Gribaudo Editore, Cavallermaggiore CN 1990
– Romano G., Da Giacomo Pitterio ad Antoine de Lonhy in G. Romano (a cura di), Primitivi Piemontesi nei musei di Torino, Cassa di Risparmio di Torino, Torino 1996
– Romano G., Tra la Francia e l’Italia: note su Giacomo Jaquerio e una proposta per Enguerrand Quarton, in Hommage à Michel Laclotte. Etudes sur la peintre de Moyen Ages et de la Renaissance, Electa, Milano-Paris 1994, pp. 173-188.
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