MANTA (Cn). Santa Maria del Monastero. Affreschi del periodo jaqueriano.

Fu il primo luogo di culto di Manta ed è uno dei più antichi monumenti cristiani del Piemonte sud-occidentale. La conformazione muraria, la tipologia delle absidi connesse a spigolo vivo, la struttura di una coppia di archetti binati che le decora, la conformazione dei pilastri interni consentono di collocare la costruzione negli ultimi decenni dell’XI secolo. La sua presenza è però accertata per la prima volta in due atti di donazione del 1175 e del 1182, in cui compare come testimone un certo “Aimo presbiter” o “Prior de Manta”.

Descrizione:
Le sue origini appaiono legate all’Abbazia di Pedona, oggi Borgo San Dalmazzo, che vantava numerose fondazioni religiose nel cuneese e nel saluzzese. Venne edificata con annesso un convento di monaci benedettini (da qui il nome di S. Maria del Monastero) come descritto in una bolla papale del 1216, che la classifica appartenente alla diocesi di Torino.
La chiesa conobbe alterne vicende di splendore e di rovina, con passaggi dalla diocesi di Torino a quella di Asti, poi di Mondovì ed ancora di Torino. Infine nel 1483 venne aggregata alla Collegiata di Saluzzo e nel 1511 entrò a far parte della diocesi di Saluzzo, accordata da Giulio II su supplica di Margherita di Foix.
Il monastero fu distrutto per lasciare posto ad una fornace di mattoni, da molto tempo anch’essa scomparsa. Già a partire dal 1575, in documenti ecclesiastici, non si trovano più riferimenti alla comunità monastica.
Nel XV secolo assunse il ruolo di cappella cimiteriale per le “famiglie cospicue“ del paese. A tal fine venne sopraelevato di circa 90 cm. il livello della pavimentazione originale.
Conservò questa funzione per secoli. Porta la data del 1539 l’iscrizione che ricorda la sepoltura di Francesco Franchi. Purtroppo sono andate perse le altre lapidi funerarie, sostituite durante il restauro del pavimento (anni ‘90) con lastre in pietra.
Fu frequentata fino al 1673, quando si aprì al culto l’attuale parrocchia di Santa Maria degli Angeli, dalle genti di pianura, mentre la popolazione della collina usava raccogliersi nella parrocchiale annessa al castello.
Nel corso dei secoli, come testimoniano le relazioni di visite pastorali, venne assai trascurata. Solo nella seconda metà del 1700 si verificò un rinnovato interesse per la chiesa, che si concretizzò con il rifacimento della facciata, la costruzione del campanile, la copertura dell’abside centrale con una volta a spicchi, con la posa dell’altare che è un classico esempio del barocco saluzzese di quell’epoca.
Nell’800 non venne praticamente più usata e subì un grave progressivo degrado.
Nel corso della seconda guerra mondiale venne utilizzata come comando militare di artiglieria alpina e poi come presidio di truppe tedesche, infine come deposito e magazzino. In quegli anni si verificarono gravi danni alle pitture parietali.
Fu soltanto a partire dagli anni 1970 che ebbero inizio gli interventi di conservazione con un primo restauro degli affreschi, staccati per essere poi conservati, parte in Casa Cavassa di Saluzzo, parte alla Galleria Sabauda di Torino, sino al 2001.
Nel 1986 venne completamente rifatta la copertura lignea a capriate, poi si procedette al risanamento dell’abside centrale, alla sostituzione dei serramenti ed al rifacimento del pavimento, oltre che ad un importante lavoro per ovviare all’infiltrazione di umidità sul lato nord.
Un’importante serie di lavori ha interessato nel 2006 e 2007 sia l’esterno che l’interno dell’edificio. Al suo interno sono stati ricollocati nella navatella destra, loro luogo di origine, gli affreschi strappati nel 1979. Anche l’abside centrale ed il relativo altare sono stati ripuliti e ricolorati, ripristinando l’effetto “trompe l’oeil” molto gradevole ed efficace.
Esternamente i lavori hanno riguardato il risanamento del lato nord mediante raccordo delle gronde al rio S. Brigida e ripristini della canalizzazione dello stesso rio a monte della chiesa e lungo tutto il fianco.

Tipologia immagine: Affresco

Periodo artistico: L’anonimo artista che realizzo’ le opere, verosimilmente intorno agli anni 30 del 1400 con la collaborazione della sua bottega, riflette l’influenza stilistica del maestro attivo presso la sala baronale del castello (anni 20), mostrando di saper coniugare l’espressionismo tipico dello Jaquerio con un gusto raffinato e cortese tipico del gotico internazionale.
Queste caratteristiche inseriscono il pittore di Santa Maria del Monastero in un filone di produzione artistica assai diffuso in zona e che vede altri eccellenti esempi nella chiesa dell’antica parrocchiale di Manta (annessa al castello), nella chiesa della S. Trinità presso Scarnafigi e nella cappella dei Santi Crispino e Crispiniano della chiesa di San Giovanni a Saluzzo.
Gli ultimi studiosi parlano dell’autore di questi affreschi come di un non meglio precisato “maestro della Manta”, il quale avrebbe operato con le sue maestranze nei cicli pittorici presenti nella sala baronale del castello, oltre che nella antica chiesa castellana.
Il pittore si rivela in questo ciclo prezioso nelle policromie, un attento disegnatore, abile nel chiaroscuro e nella riproduzione dettagliata dei panneggi delle vesti fatte di tessuti scelti con cura. I personaggi sono caratterizzati nelle espressioni dei volti dall’incarnato chiaro con tratti delicati, che ritraggono sottili sopracciglia e piccole bocche.
Molta attenzione è rivolta ai dati di natura, in particolare nei prati fioriti e negli alberi frondosi.
Gli affreschi che si trovano ora appoggiati alla parete della navatella destra: San Nicola con il bastone e la mitra in quanto vescovo, con in mano tre monete d’oro che regalò in dote a tre giovani poverissime. San Leone Papa con il triregno, patrono di Manta.
La deposizione di Cristo nel sepolcro: sul fondo blu si stagliano le rocce grigie del Golgota su cui si erge la croce; in primo piano è il sepolcro in pietra semplice e squadrato, in cui viene adagiato Gesù. Due personaggi gli sono accanto: Giuseppe d’Arimatea con una folta barba grigia ed un cappello a cono arrotondato, e Nicodemo con il volto quasi illeggibile ormai, caratteristico per il copricapo a larga tesa. In basso la Maddalena dai lunghi capelli biondi protesa a baciare la mano del Cristo. In secondo piano due pie donne e Maria, figura altamente patetica, al centro della composizione, avvolta in un fluente manto blu. Ha il volto contratto dal dolore, le guance segnate da vistose lacrime. Sulla destra, S. Giovanni, solo in parte visibile.
San Biagio. Ritratto con la mitra perché era vescovo di Sebaste (nome di alcune città dell’oriente fondate in onore di Augusto, infatti è l’equivalente del latino Augustus; nome dato, ad esempio, all’antica Samaria in Giudea). Tiene in mano il pettine dei cardatori di lana, strumento del suo martiri.
L’Annunciazione: in mandorla, al centro, Dio Padre, il Bambino con la croce in spalla, a sinistra un angelo vestito di rosso con ali molto frastagliate e le penne segnate una ad una, con in mano un cartiglio illeggibile. A destra la Madonna, con la colomba dello Spirito Santo che le sfiora la fronte, inginocchiata davanti al Vangelo aperto alla pagina su cui sta scritto “Ecce Ancilla Domini, fiat mihi….”. Dietro a lei un trono in legno, con bifore gotiche sullo schienale. Da evidenziare l’espressione dolcissima del suo volto e la finezza dei tratti.
Nel semicatino la Santa Trinità in mandorla con angeli che le fanno corona. Molto belli nella raffigurazione pittorica e con i colori molto ben conservati. Purtroppo la scena è in gran parte andata persa.
Ai due pilastri del lato sud sono appoggiati:
San Giacomo di Galizia: con la tunica bianca e il manto rosso con ampie pieghe e volute, cappello a larghe falde, bastone bisaccia e borraccia che rappresentano la sua condizione di pellegrino.
San Benedetto: senza barba, indossa il saio nero dell’ordine da lui fondato. Ha in mano un libro e il pastorale vescovile, seppure non sia nemmeno certo che fosse sacerdote.
Uno stemma: su sfondo bianco una pianticella verde sradicata, con piccole foglioline, e una banda rossa che attraversa il tutto. L’ipotesi più verosimile è che si tratti dell’insegna della famiglia Urtica di Verzuolo, vassalli dei marchesi, forse i committenti di questi affreschi.
Riveste grande interesse il Giudizio Universale, l’affresco più vasto presente nella chiesa, che domina la parete sud per tutta la sua altezza, oggetto di un restauro conservativo e fissativo nel 1995.
Cristo giudice si trova al centro della mandorla sostenuta da sei angeli. La sua figura maestosa è avvolta in un ampio manto rosso, morbidamente panneggiato; l’espressione del volto è irata con gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Alla destra e alla sinistra del Cristo giudicante si snodano due cartigli, l’uno con la scritta “Venite benedicti posidete regnum qui paratum est vobis” e l’altro “Ite maledicti in ignem eternum qui paratum est vobis”. Ai lati sono la Madonna, inginocchiata e con le mani giunte in atto di preghiera e San Giovanni, con i riccioli scompigliati, la barba e i baffi incolti; in alto due coppie di angeli portano gli strumenti della Passione. Nella zona inferiore si trova la raffigurazione della città celeste con San Pietro che accoglie le anime dei salvati sulla porta di un edificio gotico. Solo poche tracce rimangono del regno degli inferi: la scena risulta deturpata da un’apertura ad arco successiva ai dipinti. Si possono osservare ancora parte delle ali di due diavoli e una coppia di dannati che invocano il perdono.
Lungo la parete sono altre scene. Una, poco leggibile e di difficile interpretazione rappresenta probabilmente un episodio della vita di un santo (martirio di San Pietro martire ?), l’altra il martirio di San Sebastiano: la figura del santo e del suo persecutore sono bianche e i tratti dei volti cancellati; si è conservato il colore rosso della veste dell’arciere e del suo curioso cappello a punta.
Un successivo riquadro ritrae San Fabiano, Sant’Antonio abate e ancora un San Sebastiano rappresentato questa volta nelle vesti di un nobile cavaliere.
Nell’absidiola del lato nord troviamo un’Annunciazione molto simile a quella che si trova nel santuario di San Leone sulla collina di Manta, datata 1422.
Sulla parete a sinistra San Benedetto e San Bernardino da Siena (1380-1444). Quest’ultimo figura rappresentativa dello spirito di religiosità attiva e operante che percorse gli ordini religiosi nella prima metà del secolo quindicesimo. Aderì al francescanesimo. Si distinse come uno dei maggiori predicatori della sua epoca, la cui parola ebbe una forte incidenza non solo sul sentimento religioso e sul costume di grandi masse, ma intervenne anche come autorità in questioni sociali e politiche. Fu dedito alla riforma spirituale organizzativa del suo ordine. Fu scrittore latino in trattazioni e controversie di carattere dottrinario. Fu canonizzato nel 1450 da Papa Niccolò V: Proclamato patrono dei pubblicitari da Pio XII nel 1956.
I tre cappelli vescovili ai suoi piedi indicano la rinuncia ai tre vescovati che gli erano stati offerti.
Tranne quelli della parete sud, tutti gli altri affreschi sono stati oggetto di pulitura e restauro nei primi mesi del 2007.

Fonte: http://www.comunemanta.it

Cronologia: XIV sec.

Note storiche:

L’edificio ha oggi solo in parte conservato il suo aspetto originario.
La facciata a capanna, rifatta nel 1760, è segnata da 4 lesene che la dividono in 3 parti corrispondenti alle navate interne e presenta una cornice orizzontale a 6 aperture di varia foggia.
L’interno si presenta nella forma classica della basilica romanica a tre navate, spartite da quattro pilastri, coperte da armatura lignea e chiuse con absidi semicircolari. L’abside maggiore è illuminata da una coppia di monofore, ha il semicatino celato da una volta a spicchi settecentesca; le absidi laterali presentano ancora invece il semicatino originario. Gli scavi del 1995 hanno portato alla luce sul fronte di un altare trecentesco una splendida veronica, sovrastata dai volti della Vergine, di San Pietro e di San Paolo molto ben conservati.
L’orientamento canonico del lato presbiteriale, da nord a sud, è rispettato, con una sensibile pendenza verso sud. Al livello dei muri perimetrali, tra il fianco settentrionale e quello meridionale dell’edificio, si registra una differenza di quota di ben 130 centimetri.

Gli affreschi:
Fanno parte del fervente periodo del Quattrocento pittorico del saluzzese. Sono oggetto di studi di numerosi esperti già fin dagli anni 50. Strappati in parte nel 1979, per un’importante rassegna torinese dedicata a “Giacomo Jaquerio ed al gotico internazionale“, furono poi esposti al museo civico Casa Cavassa di Saluzzo per oltre 20 anni. Altri furono conservati alla Galleria Sabauda di Torino dalla quale vennero restituiti nel 2004, quando l’edificio era stato riportato ad un discreto grado di manutenzione rispetto al gravissimo stato di degrado riscontrato negli anni del dopoguerra.
Nell’anno 2007, dopo un delicato e lungo lavoro di preparazione muraria, sono stati ricollocati nel loro luogo d’origine quelli strappati dalla navatella destra.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 2013-02-26